Tributi locali: Decadenza ai tempi del Covid

A seguito della pandemia da Covid-19 l’istituto della decadenza dal potere impositivo ha subito importanti modifiche in un primo momento ad opera del decreto Cura Italia e successivamente per effetto del decreto Ristori, creando non pochi dubbi interpretativi per gli addetti ai lavori in materia di accertamento dei tributi locali.
In tema di decadenza dei tributi locali la norma di riferimento è costituita dall’art. 1, comma 161, legge n. 296/2006 (c.d. legge finanziaria 2007) ai sensi del quale “gli enti locali, relativamente ai tributi di propria competenza, procedono alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli o dei parziali o ritardati versamenti, nonché all’accertamento d’ufficio delle omesse dichiarazioni o degli omessi versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato”: gli atti impositivi – siano essi emessi in rettifica o d’ufficio – “devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati”.
Per effetto di detta norma l’avviso di accertamento IMU anno d’imposta 2015 andava notificato al contribuente entro e non oltre il 31.12.2020, quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati.

Alla disciplina ordinaria è stata affiancata quella emergenziale dettata per arginare gli effetti della pandemia da Covid – 19 che sembrerebbe aver prodotto uno spostamento del termine di decadenza relativo all’IMU anno d’imposta 2015 dal 31 dicembre 2020 al 26 marzo 2021 per effetto della sospensione disposta dall’art. 67, D.L. 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. Cura Italia); “sono sospesi dall’8 marzo al 31 maggio 2020 i termini relativi alle attività di liquidazione, di controllo, di accertamento, di riscossione e di contenzioso, da parte degli uffici degli enti impositori”.

Il dubbio interpretativo nasce dal riferimento agli “uffici degli enti impositori” che parrebbe limitare l’applicazione della norma alle sole Agenzie Fiscali, con esclusione quindi degli enti locali.

Tuttavia l’Istituto per la Finanza e l’Economia Locale ha ritenuto applicabile la sospensione anche ai comuni uniformandosi all’interpretazione resa dal Dipartimento delle Finanze del Ministero dell’Economia e delle finanze che nella sua HYPERLINK “https://www.ipsoa.it/documents/fisco/riscossione/quotidiano/2020/06/17/coronavirus-enti-locali-possono-notificare-atti-accertamento-esecutivo-periodo-sospensione” \o “risoluzione 15 giugno 2020, n. 6/DF” \t “_blank” risoluzione del 15 giugno 2020, n. 6/DF ha espressamente ricompreso nell’ambito di operatività dell’art. 67, D.L. n. 18/2020 anche gli uffici degli enti locali.
Senonchè ad alimentare ulteriori dubbi interpretativi è intervenuto l’art. 157 del Dl 34/2020 (c.d. Decreto Rilancio), come modificato dall’articolo 1 Dl 7/2021, che ha introdotto la c.d. “scissione dei termini di emissione e di notifica”, stabilendo che gli atti di accertamento per i quali i termini di decadenza, calcolati senza tener conto del periodo di sospensione di cui all’articolo 67, comma 1, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18″, scadono fra l’ 8 marzo 2020 e il 31 dicembre 2020 possono essere emessi entro il 31 dicembre 2020 ma notificati solo successivamente a partire dal 1° marzo 2021 ed entro il 28 febbraio 2022.
La norma al comma 7 bis precisa poi che tale scissione non si applica a quelli relativi agli enti locali.

Orbene tale ultima precisazione sembrebbe favorire l’interpretazione restrittiva che limita l’applicazione della sospensione di cui all’art. 67, D.L. 17 marzo 2020 n. 18 ai soli atti delle Agenzie Fiscali in ragione del riferimento testuale agli “uffici degli enti impositori”.

Tuttavia, la circostanza che il 1° comma del citato art. 157 faccia esplicito riferimento agli atti in scadenza tra l’ 8 marzo e il 31 dicembre senza tener conto del periodo di sospensione di cui all’articolo 67, comma 1, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, consente di ritenere che per i tributi comunali operi la sospensione di 85 giorni.
In conclusione, quindi, i Comuni non solo possono notificare l’atto di accertamento relativo all’IMU anno d’imposta entro il 31 dicembre 2020, bensì anche procedere con la stessa notifica in data successiva, beneficiando dello slittamento del termine fino al 26 marzo 2021.

 

Alfredo Salzano – 16.02.2021 – Avvocato tributarista in Salerno e Parma (Studio Legale Tributario Salzano)

AGEVOLAZIONI PRIMA CASA: POSSIBILITA’ DI AVVALERSENE NELL’IPOTESI DI PRE-POSSIDENZA NELLO STESSO COMUNE DI ALTRO IMMOBILE ACQUISTATO ANTE 1978.

L’art. 1, comma 4-bis, della Nota II-bis della tariffa parte prima, allegata al Dpr 26 aprile 1986, n. 131 (nella nuova formulazione introdotta con Legge n. 208/2015) la quale, al fine di favorire la sostituzione dell’attuale abitazione, consente al contribuente di fruire dell’agevolazione in parola anche nell’ipotesi di titolarità nello stesso Comune di residenza di altra proprietà, a condizione che quest’ultima sia stata acquistata con le agevolazioni elencate nella lettera c) e che l’acquirente si impegni, con dichiarazione da rendere nell’atto, ad alienarla entro un anno dalla data del nuovo trasferimento; “L’aliquota del 2 per cento si applica anche agli atti di acquisto per i quali l’acquirente non soddisfa il requisito di cui alla lettera c) del comma 1 e per i quali i requisiti di cui alle lettere a) e b) del medesimo comma si verificano senza tener conto dell’immobile acquistato con le agevolazioni elencate nella lettera c), a condizione che quest’ultimo immobile sia alienato entro un anno dalla data dell’atto”.
Il tenore letterale della disposizione in commento, ed in particolar modo l’espresso riferimento ai “requisiti di cui alle lettere a) e b) del medesimo comma si verificano senza tener conto dell’immobile acquistato con le agevolazioni elencate nella lettera c)”, non consentirebbe di favorire una soluzione affermativa in ordine alla possibilità di avvalersi delle agevolazioni prima casa nel caso di pre-possidenza nello stesso comune di altro immobile acquistato prima dell’introduzione della norma agevolativa e quindi senza usufruire del predetto beneficio.
Ed invero, in tema di norme tributarie agevolative l’impostazione tradizionale della giurisprudenza propende per la loro stretta interpretazione, senza possibilità di applicare la norma oltre i casi e le situazioni non riconducibili al significato letterale del dato testuale (Cass., SS.UU., n. 11373/2015; Cass. n. 25586/2016; Cass. n. 3268/2019).
Ad analoghe conclusioni, almeno in un primo momento, è giunta l’A.F. la quale con circolare n. 27/E del 13.6.2016 ha precisato che “L’acquisto di una abitazione sita in un comune nel quale l’acquirente è già titolare di altra abitazione, acquistata senza fruire delle agevolazioni per la prima casa, non può beneficiare di tali agevolazioni, anche se l’acquirente si impegna a vendere, entro un anno dal nuovo acquisto, l’immobile posseduto”.
Tuttavia, recentemente, si è registrata una decisa apertura da parte della stessa A.F. verso un’applicazione meno rigida della norma in considerazione della ratio ad essa sottesa.
Ad esempio è’ stato ritenuto non ostativo al riconoscimento dell’agevolazione in parola il caso di immobile pre-posseduto acquistato nel 1990 da una Società costruttrice senza usufruire dell’agevolazione prima casa e quindi in vigenza della norma, poi soppressa nel 1993, che prevedeva già l’applicazione dell’aliquota agevolata del 4% indistintamente per tutte le cessioni abitative effettuate da costruttori (cfr. risposta ad interpello n. 377/2019).
Con più diretto riferimento alla fattispecie concreta in esame, è senza dubbio di grande interesse la risposta all’istanza di interpello n. 123/2018 con la quale l’A.F. ha ammesso la possibilità di beneficiare delle agevolazioni “prima casa” in relazione ad un immobile ereditato, pur in presenza nello stesso comune di altro immobile “non agevolato”, in quanto acquistato prima dell’entrata in vigore della legge agevolativa n. 168/1982.
Orbene, nonostante il chiarimento fornito dalla Direzione Generale dell’AdE sembra essere assolutamente dirimente rispetto alla questione proposta, non si può non evidenziare che la risposta all’interpello vincola l’A.F. limitatamente al singolo caso trattato ed esclusivamente nei riguardi del contribuente istante, non ponendo al riparo da una futura contestazione dell’ufficio finanziario gli altri contribuenti che intendono aderire a quella risposta (cfr. Cass. Civ. sez. trib. Ordinanza n. 9719/2018 sull’inesistenza nel nostro ordinamento di un generico principio di affidamento del contribuente).
E’ però altrettanto vero che la soluzione prospettata nel richiamato documento di prassi, oltre ad essere quella più aderente alle finalità perseguite dalla norma agevolativa, ha anche il pregio, non di poco conto, di assicurare parità di trattamento fiscale in relazione a situazioni di fatto omogenee, salvaguardando in tal modo il rispetto di fondamentali principi costituzionalmente garantiti.
Alla stregua delle considerazioni esposte, nell’impossibilità di un preventivo trasferimento dell’immobile pre-posseduto, ritengo di notevole ausilio il citato precedente interpretativo e pertanto certamente sostenibile, ed eventualmente difendibile in sede giudiziaria, il diritto a fruire dell’agevolazione “prima casa”, a condizione che gli acquirenti, con dichiarazione da rendere in atto, siano stati a suo tempo in possesso dei requisiti prescritti in relazione all’immobile pre-posseduto,

TRIBUTI LOCALI: NON SI APPLICA IL PRINCIPIO DI SCISSIONE DELLA NOTIFICA

Ancora una sentenza di merito della Commissione Tributaria Regionale della Campania che ritiene non applicabile il principio della scissione della notificazione degli avvisi di accertamento degli Enti Locali.
Pertanto, se il plico contenente un avviso di accertamento spedito entro il 31.12 del 5° anno successivo a quello della annualità di riferimento è ricevuto dal contribuente successivamente a tale data sussiste la prescrizione del tributo e della pretesa.

Commissione Tributaria Regionale Campania
Sentenza n. 1360 del 15.02.2021-
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con l’impugnata sentenza la C.T.P. di Benevento accoglieva il ricorso proposto da xxxxx xx avverso l’avviso di accertamento TARSU come da epigrafe notificatogli il 16.01.18 dalla s.p.a. Xxxxxa per conto del Comune di xxxxxxo per l’anno 2012 in ordine ad immobile sito in quel territorio.
Il ricorrente aveva eccepito la prescrizione quinquennale del tributo in oggetto.
Il Comune impositore, tramite il detto concessionario, si era costituito deducendo di aver spedito per posta l’avviso tempestivamente in data 28.12.17 e che comunque, trattandosi di decadenza e non di prescrizione, non rilevava l’epoca di ricevimento del plico.

La C.T.P. affermava non essersi maturata la prescrizione eccepita, atteso l’avvenuto recapito del detto atto recettizio oltre il quinto anno dal 2012.
Avverso tale sentenza proponeva appello la s.p.a. xxxxxx, sostenendo di aver tempestivamente notificato a controparte l’avviso in oggetto, avendolo spedito entro il 31.12.17 e comunque ribadendo quanto esposto in primo grado.
Il xxxxxi, radicatasi la lite, si costituiva deducendo l’infondatezza del gravame.
Infine questo collegio ha adottato la deliberazione, come da dispositivo e motivi qui contenuti, all’udienza odierna, svoltasi con le formalità di cui all’art. 34 d. lgs. 5 6/92 nella ricorrenza di ogni requisito previsto dalla detta norma.
MOTIVI DELLA DECISIONE

L’appello è infondato. Premesso a riguardo che, a seguito de1 riordino della disciplina dei tributi locali, prevista dai commi 158-171 dell’art. 1 della legge n. 296/06, l’avviso di accertamento relativo alla TARSU deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati (cfr., ex multis, Cass. n. 6572/20).
Peraltro la giurisprudenza ha ancora precisato che il credito tributario di cui alla cartella di pagamento della TARSU sottesa all’avviso d’intimazione di pagamento è assoggettato alla prescrizione breve propria ‘di tale tributo che è quella quinquennale, giusta il disposto dell’art. 2948 n. 4 c.c. (cfr., ex multis, Cass. n. 19666/18).
Nella specie viene dunque in rilievo la questione della tardività della notifica dell’accertamento, e perciò quella dell’applicabilità del principio della scissione soggettiva degli effetti anche alla notifica a mezzo posta degli atti di imposizione tributaria.
La giurisprudenza a riguardo è divisa.
La tesi più risalente e tuttora maggioritaria si muove sulla scia della sentenza della Cass. S.U. 19854/04, cosi’ massimata “La natura sostanziale e non processuale (né assimilabile a quella processuale) dell’avviso di accertamento tributario – che costituisce un atto amministrativo autoritativo attraverso il quale l’amministrazione enuncia le ragioni della pretesa tributaria non osta all’’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria”.

Tale pronuncia quindi nega che per la notifica degli atti di accertamento tributario possa operare il principio del c.d. sdoppiamento degli effetti dell’atto per il notificante ed il destinatario della notifica, sì che la decadenza sarebbe evitata solo se la notifica si perfeziona – e quindi entra nella sfera di legale conoscenza del destinatario – nel termine di decadenza. Così ancora si legge nella pronuncia citata: “La notificazione costituisce un elemento essenziale della fattispecie necessaria per evitare la decadenza dell’amministrazione”.
In altri termini, dall’esercizio del diritto di difesa mediante proposizione del ricorso non può mai derivare una convalida ex tunc di un atto imperfetto di per sé inidoneo ad evitare la decadenza. Si tratta di una conseguenza dell’applicazione di principi generali, nei casi in cui la legge pone limiti temporali all’esercizio di poteri amministrativi”.

In tali termini si registrano numerosissime pronunce, fra cui in particolare Cass. n. 21071/18 e n. 8374/15. In particolare poi, si considerino anche Cass. n. 2272/11; n. 10445/11; n. 12007/11; n. 1088/13; n. 654/2014; n. 2203/18 sulla non estensibilità della sanatoria ex art. 156 c.p.c. per raggiungimento dello scopo alla decadenza dal potere impositivo già verificatasi per mancato perfezionamento della notifica entro il prescritto termine.
Un orientamento diverso si è tuttavia manifestato con la sentenza delle S.U. della Cass. n. 12332/17 in tema di notifica di sanzioni amministrative, sentenza che sembra invece propendere per applicare anche all’osservanza del termine di decadenza il detto principio di scissione degli effetti della notifica.
Si veda anche in termini Cass. n. 3091/19 in tema di cartella di pagamento per errato rimborso ex art. 43 d.p.r. n. 602/73, nonché Cass. n. 3560/19 ove, sia pure in obiter dictum, si afferma addirittura sussistere nella giurisprudenza di legittimità un principio consolidato circa l’efficacia interruttiva della prescrizione del credito tributario per effetto della mera consegna dell’atto impositivo all’ufficio postale, all’uopo richiamandosi i già citati precedenti del 2018 e del 2017, che tuttavia si badi – non riguardano propriamente detta questione.
Neppure peraltro mancano più risalenti statuizioni conformi a queste ultime in tema di notifica di atti impositivi tributari a mezzo del servizio postale, e ciò in ispecie sulla base di un asserito principio generale evinci bile dalla sentenza della Corte Cost. n. 4 7972002 (in tali sensi v. Cass. n. 1647/04; n. 15298/08; n. 26053/11; n. 22320/14; n. 33277\19).

La giurisprudenza di legittimità più recente, comunque, almeno parzialmente (v. appunto le decisioni citate) ha continuato a seguire l’orientamento originario.
In effetti è innegabile che l’ulteriore estensione del principio della scissione degli effetti della notifica implichi non poche criticità, non senza aggiungere che su di un piano più generale disposto dell’art. 6 co. 1 della legge n. 212/00 Statuto del contribuente), nel mantenere ferme le norme in tema di notifica degli atti tributari, stabilisce espressamente che “L’amministrazione finanziaria deve assicurare l ‘effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati.

Infine la stessa Corte Suprema (Cass. sez. trib. n. 15545 del 21.07.20), consapevole del contrasto interno, ha nuovamente sollecitato un intervento chiarificatore delle S.U. civili, disponendo appunto, per ciò che qui interessa, la trasmissione degli atti al primo presidente onde dirimere ad esse sezioni, ai sensi dell’art. 374 co. 2 c.p.c., la questione se sia applicabile il principio della scissione soggettiva degli effetti anche alla notificazione degli atti di imposizione tributaria ed in relazione agli effetti sostanziali propri di questi.

Ciò premesso, questa C.T.R. reputa che nella specie possa decidersi senz’altro la controversia prestando adesione al primo orientamento, quello che nega l’applicazione del principio della scissione agli atti di accertamento tributario ai fini della decadenza. Tale soluzione – tuttora, come già detto, maggioritaria – è quella meglio argomentata (v. quanto sopra cennato) ed altresì quella che meglio corrisponde ai principi generali che regolano la materia ed in ispecie appare più consapevole delle esigenze di tutela del contribuente.
E dunque, ad avviso del collegio, correttamente la C.T.P. afferma che il quinquennio prescrizionale ex art. 2948 n. 4 c.c. debba essere riferito alla data di ricezione dell’atto, dacché atto non processuale (v. anche Cass. n. 18759/13 e Cass. S.U. n. 24822/15), ritenendo che il principio della scissione degli effetti della notifica per il notificante ed il notificato si applichi in tutti i casi in cui debba valutarsi l’osservanza di un termine da parte del notificante in relazione ad atti processuali ma non anche sostanziali, attesa la loro ricettizietà.

Ne deriva che la pretesa tributaria in oggetto, afferente al 2012, deve ritenersi prescritta in quanto l’avviso di accertamento, pur spedito entro il quinto anno previsto dalla norma citata e cioè entro il 31.12.17, venne recapitato al contribuente in data 16.01.2018.
Le spese del grado si compensano ex art. 92 c.p.c., ravvisandosi straordinari ed eccezionali motivi in ordine alla vicenda tributaria di causa, anche e segnatamente per la non univocità della giurisprudenza nei sensi detti.
P.Q.M.

La commissione così provvede: rigetta l’appello e compensa le spese.

ILLEGITTIMA LA CARTELLA ESATTORIALE NOTIFICATA AL CHIAMATO ALL’EREDITA’

Con l’ordinanza n. 24317 del 03.11.2020 la Corte di Cassazione, richiamando i principi giurisprudenziali precedenti espressi, ha confermato l’illegittimità della cartella di pagamento notificata al chiamato all’eredità per un debito del de cuius, sul presupposto che solo con l’accettazione dell’eredità, espressa o tacita, può assumersi la qualità di erede (a tal fine non è sufficiente la denuncia di successione che ha rilevanza solo dal punto meramente fiscale).

Inoltre l’art. 521 c.c. stabilisce che “Chi rinunzia all’eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato”, il che lascia ritenere che il chiamato rinunciante non risponde del debito tributario del de cuius, ancorché quest’ultimo sia portato da un avviso di accertamento notificato dopo l’apertura della successione e divenuto definitivo per mancata impugnazione.
Sul punto chiarificatrice è la sentenza della Corte di Cassazione n. 13639/2018 la quale ha stabilito che “per effetto della rinuncia, viene impedita retroattivamente, cioè a far data dall’apertura della successione, l’assunzione di responsabilità per i debiti facenti parte del compendio ereditario; il che equivale ad affermare che condizione imprescindibile affinché possa sostenersi l’obbligazione del chiamato a rispondere di tali debiti è che questi abbia accettato l’eredità”, precisando poi che “la delazione che segue l’apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è di per sé sola sufficiente all’acquisto della qualità di erede, perché a tale effetto è necessaria anche, da parte del chiamato, l’accettazione mediante aditio oppure per effetto di pro herede gestio oppure per la ricorrenza delle condizioni di cui all’articolo 485 cod. civ.

La stessa pronuncia affronta poi il tema dell’onero probatorio affermando che “spetta a colui che agisca in giudizio nei confronti del preteso erede per debiti del de cuius, l’onere di provare, in applicazione del principio generale contenuto nell’articolo 2697 cod. civ., “l’assunzione da parte del convenuto della qualità di erede, qualità che non può desumersi dalla mera chiamata all’eredità, non essendo prevista alcuna presunzione in tal senso, ma consegue solo all’accettazione dell’eredità, espressa o tacita, la cui ricorrenza rappresenta un elemento costitutivo del diritto azionato nei confronti del soggetto evocato in giudizio nella sua qualità di erede”.

Sempre riguardo al tema della prova la Corte di Cassazione con la sentenza n. 10908/2019 ha ulteriormente precisato che “l’assunzione delle obbligazioni del de cuius richiede l’accettazione dell’eredità, essendo insufficiente la partecipazione alla denuncia di successione, sicché, seppure intervenuta tardivamente la rinuncia alla eredità ed omessa la rettifica della dichiarazione di successione, prevista dal D. Lgs n. 346 del 1990, art. 28, comma 6, l’assenza della pregressa accettazione esclude la legittimazione passiva per i debiti ereditari. Tuttavia la rinuncia tardiva, senza rettificazione della dichiarazione di successione, legittimando l’amministrazione finanziaria a notificare l’atto impositivo, impone al contribuente la costituzione in giudizio e l’onere di provare la sua estraneità ai debiti ereditari tributari, gravando sulla parte pubblica la prova della decadenza del diritto di esercizio di una valida rinuncia”.

In un tale quadro normativo è quindi onere dell’Amministrazione Finanziaria, attrice in senso sostanziale ex articolo 2697 cod. civ., provare  l’insussistenza dei presupposti del diritto di rinuncia e l’eventuale decadenza del medesimo, ovvero provare l’avvenuta accettazione dell’eredità, e la conseguente inoperatività della rinuncia.

Sulla base dei principi giurisprudenziali espressi, il rinunciante all’eredità legittimamente può far valere, in sede di opposizione alla cartella di pagamento, la propria mancata assunzione di responsabilità per il debito suddetto.

 

Alfredo Salzano – 16.02.2021 – Avvocato tributarista in Salerno e Parma (Studio Legale Tributario Salzano)